Osservando i lavori di altri iconografi dilettanti (e non) in rete, rimango spesso colpito dal come vengano gestiti gli schiarimenti delle vesti e dell'incarnato: sia chiaro, non intendo mettermi a fare scuola a maestri sicuramente in attivita' da piu' tempo di me (ed io in complesso ho prodotto poche icone per mancanza di commissioni), ma notando la ricorrenza di alcuni errori, penso sia utile condividere alcune considerazioni riguardo al come CONCETTUALMENTE intendo un buono schiarimento e del come conseguentemente lo pongo in essere dipingendolo. Tali mie considerazioni nascono da alcuni elementi base che posso riassumere nei seguenti punti:
-Osservazione delle regole basilari di chiaroscuro nell'arte figurativa
-Osservazione dei modelli iconografici antichi
-Osservazione dell'uso della luce in icone di grandi maestri contemporanei
Naturalmente parlare di schiarimenti delle vesti e' leggermente diverso (ed a mio avviso piu' complesso) del parlare degli schiarimenti dell'incarnato, quindi spezzero' questa mia riflessioni in 3 parti. Nella prima mi dedichero' ad una premessa generale sulla funzione dell'illuminazione, nella seconda parlero' degli schiarimenti dell'incarnato, nella terza affrontero' le vesti.
-Osservazione delle regole basilari di chiaroscuro nell'arte figurativa
-Osservazione dei modelli iconografici antichi
-Osservazione dell'uso della luce in icone di grandi maestri contemporanei
Naturalmente parlare di schiarimenti delle vesti e' leggermente diverso (ed a mio avviso piu' complesso) del parlare degli schiarimenti dell'incarnato, quindi spezzero' questa mia riflessioni in 3 parti. Nella prima mi dedichero' ad una premessa generale sulla funzione dell'illuminazione, nella seconda parlero' degli schiarimenti dell'incarnato, nella terza affrontero' le vesti.
PREMESSA
Nell'arte figurativa la luce "scolpisce" i volumi e regola ritmo e gerarchia della composizione. "Ragionare in termini di luce" non e' una frasetta che l'artista impara a memoria come se fosse semplice retorica: La luce definisce volumi e composizione
VOLUMI
Stabilisco un punto fermo... anzi MONOLITICO. La stilizzazione iconografica NON ANNULLA la prospettiva; per prospettiva intendo il sopravanzamento di un piano rispetto ad altri, ed il modellato secondo sopravanzamento definisce un volume.. Mi spiego meglio: un oggetto tridimensionale rappresentato sulla superficie bidimensionale deve apparire comunque tridimensionale, deve cioe' essere rappresentato in modo tale da simulare cio' che nella realta' e' la tridimensionalita'. Per fare cio' e' possibile ricorrere allo schema che chiamiamo prospettiva. Rappresentare un cubo in prospettiva non significa semplicemente orientare correttamente l'oggetto nella griglia prospettica, ma anche simulare una illuminazione che anch'essa deve essere omogenea ad un sistema prospettico: se ad esempio la luce proviene da in alto a sx, OGNI oggetto nella composizione prospettica DEVE ricevere luce da quella direzione. Quindi il volume di un oggetto e' correttamente rappresentato se sia l'oggetto stesso, che la fonte di luce sono correttamente incastonati in uno spazio prospettico.
La stilizzazione iconografica non utilizza lo schema prospettico rinascimentale europeo, ma una prospettiva inversa (di cui parlero' in un altro momento) ed i soggetti rappresentati hanno comunque un volume definito da un corretto schiarimento. Uno schiarimento che non suggerisca la rotazione del volume del volto, il taglio di 3/4 del viso, il volume di una mano e' semplicemente uno schiarimento malfatto ed inutile. Meglio raschiare via col bisturi ed iniziare da capo. E' bene pero' ricordare che sebbene sia assente la prospettiva rinascimentale, possiamo descrivere un'icona con l'esempio del bassorilievo. Non c'e' un "tutto tondo", talvolta personaggi sono sullo stesso piano pur essendo sullo stesso "piano scenico" (i piedi poggiano alla stessa altezza), ma il volume degli elementi e' suggerito da un modellato via via piu' chiaro man mano che l'elemento si avvicina all'osservatore.
COMPOSIZIONE
La luce (che come ho detto ha una sua logica in termini prospettici) oltre a definire il volume, aiuta la composizione e guida l'osservatore verso gli elementi piu' importanti. Per fare un parallelismo semplice e comprensibile: immaginate un set teatrale riccamente allestito, sul palco c'e' un attore anch'esso riccamente vestito. Illuminate tutto il set con una luce diffusa e brillante e l'attore si confondera' col resto del fondale. Abbassate invece le luci, rendetele piu' soft sul fondale e puntate un faretto verso l'attore: l'attenzione dell'osservatore sara' ora calamitata verso l'attore. In iconografia noi lavoriamo con una luce piu' stilizzata, piu' incorporea e simbolica, ma la funzione rimane, da un punto di vista tecnico/scenografico la stessa: la luce deve porre in evidenza gli elementi principali della composizione sia in modo statico (il soggetto deve essere COMPLESSIVAMENTE piu' luminoso del resto) sia dinamico (elementi del soggetto sono illuminati con forza diversa per guidare lo sguardo verso il volto e lo sguardo)... di seguito spiegero' quali scelte fecero abili iconografi.
A presto con la seconda parte, in cui analizzero' nel dettaglio cosa penso sia indispensabile per ottenere uno schiarimento funzionale dell'incarnato.
Ad Majora
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